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UN TUFFO NELLA STORIA

 

Quando al porto si poteva fare il bagno
L'oasi dei salernitani fino agli anni '70. Poi lo scalo commerciale

 

 

La spiaggia del Baia
 

Non c’è salernitano verace che non ricordi quei tempi con un pizzico di nostalgia e rimpianto. Appena quarant’anni fa, mica secoli. Quando ci si poteva fare il bagno al porto, quando al posto di navi da crociera e containers arrugginiti c’era una lunga distesa di sabbia che d’estate si riempiva di vita, di colori e di voci. Con stabilimenti balneari frequentatissimi, come "Tritone", "Elisa I", "Elisa II", il "Lido Azzurro", il "Lido delle Sirene", il "Savoia" con le sue cabine rosso sangue. E ancora, sotto i primi contrafforti della costiera amalfitana, il celebre "Scoglio 24", a pochi metri da quella sorgente "Acqua del fico" ideale per una dissetante bevuta o magari per tenere l’irrinunciabile melone al fresco. In zona ci si arrivava attraversando una strada stretta che iniziava all’altezza del Jolly hotel, alle spalle delle Chiancarelle, appendice del vecchio porto con depositi di legname, cantieri navali e officine varie. Superato il mercato del pesce, prima dei lidi una rotonda: ci girava la filovia, capolinea della storica linea 2 "Fratte-Porto".
Così erano le spiagge di Salerno

 

COME ERA
 

Nel bacino del vecchio scalo, visto lo scarso traffico di navi, l’acqua era pulita, e si pescavano cefali e alici. Tutto spazzato dal progresso, nel volgere di un decennio. Dell’allargamento del porto in verità se ne parlava già in epoca fascista, quando frequenti erano le agitazioni dei portuali che lavoravano soltanto con lo sbarco di brano e carbone. Era allora continua la lotta con gli scali di Napoli e di Castellammare per ottenere che qualche bastimento di modesto tonnellaggio venisse a scaricare a Salerno. E intanto tutti chiedevano lavori o sussidi. Ma non se ne fece nulla fino alla fine degli anni Cinquanta, quando i primi interventi della mano pubblica individuarono nel porto salernitano il punto nevralgico dello sviluppo economico provinciale. Determinante in tal senso fu l’impegno dell’onorevole democristiano Carmine De Martino, che promosse la costituzione di un consorzio - ne faceva parte anche il Comune - per raccogliere i fondi necessari all’esecuzione dei primi lavori. Venuto a mancare De Martino, montò per anni una interminabile querelle tra occidentalisti e orientalisti. Ovvero tra chi voleva la costruzione delle nuove infrastrutture portuali ad ovest e chi invece le voleva ad est, sul tratto di costa al cui interno sarebbe sorta dopo pochi anni la zona industriale. Il destino della città, si disse in quei confusi anni era ad un bivio. Alla fine la spuntarono gli occidentalisti, grazie anche alla volontà di Fiorentino Sullo, allora ministro dei Lavori Pubblici, che premeva per la rifondazione e il potenziamento delle strutture già esistenti. Erano i primi anni ’70 quando i lavori entrarono nella fase finale. Tutta la zona subì inevitabilmente un irreversibile cambiamento d’aspetto, le spiagge furono distrutte, sepolte da una colata di cemento. I bagnanti e i lidi furono costretti a sloggiare in cerca di… nuovi lidi. Si voltava pagina, si chiudeva un’epoca.

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