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Gli Allman Brothers sono sempre stati considerati i padri fondatori di quello che viene definito il southern rock, noto anche come quel fenomeno musicale che proprio verso la fine degli anni ’60 catapultò il blues tradizionale nella mischia del rock, del country, del gospel e dell’honky tonky per essere rigenerato in una forma ancora più innovativa e stravolgente, dove la fantasia e la creatività musicale raggiunsero dei livelli tali da poter competere con l’istrionismo del progressive e del rock psichedelico. La loro musica sarà fonte di ispirazione per le principali band che nasceranno proprio nel sud degli Stati Uniti: i Dixie Dregs, i Molly Hatchet, The Marshall Tucker Band, fino ad arrivare ai più noti Lynyrd Skynyrd.

La strada per l’immortalità della band inizia nei primi anni ’60, quando i fratelli Duane e Gregg Allman scoprono la loro comune passione per la chitarra e iniziano a suonare con le prime formazioni fino a creare il 23 marzo del 1969 gli Allman Brother Band, a Jacksonville, in Florida. Come raccontano gli stessi protagonisti, viene organizzata una jam session nel garage di Butch Trucks, batterista e amico dei fratelli Allman, alla quale partecipano Duane Allman, il batterista Jai “Jaimoe” Johanson, il chitarrista Dickey Betts e il bassista Berry Oakley, questi ultimi due compagni di avventura di Duane durante il suo vagabondare per l’Alabama. Qualche giorno dopo, sarà lo stesso Duane a convincere il fratello Gregg ad unirsi al gruppo come tastierista e cantante, definendo così la line-up della Allman Brothers Band che debutta poco dopo al Jacksonville Beach Coliseum.

L’incredibile energia sprigionata dalla nuova jam band impressiona il produttore Phil Walden, il quale mette sotto contratto il gruppo garantendogli la partecipazione ad un importante evento dello stesso anno, l’Atlanta International Pop Festival, e la registrazione del loro primo album che viene registrato nel settembre del 1969 agli Atlantic Studios di New York.

Gli Allman Brothers ottengono un successo immediato grazie alle novità musicali contenute nell’album, e divengono leggenda continuando a sperimentare e a stupire con i successivi lavori in studio, Idewild South del 1970 (che otterrà ancora più successo rispetto al primo album), At Fillmore East del 1971 (che diventerà disco d’oro, oltre che uno dei migliori album live mai registrati) e Eat A Peach, pubblicato nel 1972, pochi mesi dopo la morte prematura di Duane Allman.

La prima parentesi della storia della Allman Brothers Band si conclude proprio con la morte del virtuoso chitarrista il 29 ottobre 1971, mentre stava lavorando all'album Eat a Peach, in un incidente motociclistico nei pressi di Macon, in Georgia.

Fu Dickey Betts a completare le parti di chitarra di Duane per l’album Eat A Peach che a lui venne dedicato dai suoi compagni. La stessa sorte toccherà al bassista Berry Oakley l’anno seguente, anch’egli morto in un incidente motociclistico, nei pressi del luogo dell’incidente dove morì Duane l’anno prima.

Duane Allman entra così nella leggenda a 24 anni, dopo aver lasciato la sua impronta nella storia della chitarra rock, rimanendo inoltre uno dei più virtuosi chitarristi slide. La sua opera e la sua passione per la musica rimarrà scolpita, oltre che nei lavori con gli Allman Borthers, anche nell’epico album dei Derek & The Dominos, Layla and Other Assorted Love Songs. Duane contribuirà a rendere il disco firmato Eric Clapton un’infuocata miscela di virtuosismi chitarristici e di melodie struggenti, in particolare nella celebre “Layla”, dove viene fuori tutta la grinta e l’alchimia musicale che Clapton e Allman condivisero come fossero fratelli.

Il nome Allman Brothers Band conoscerà il carisma e l’eccezionale bravura di altri talentuosi musicisti, fra i quali spiccano il carismatico chitarrista e cantante Warren Haynes, già membro della band The Dead (dopo la morte di Jerry Garcia nel 1995), Derek Trucks, il chitarrista prodigio, nipote del batterista fondatore degli Allman Brothers, Butch Trucks, senza dimenticare anche Chuck Leavell, tastierista autodidatta che suonò con gli Allman in un paio di album.

Gli strazianti bending di Warren Haynes, uniti al raffinatissimo stile finger-picking di Derek Trucks e all’esperienza degli altri membri originali della band, hanno fatto si che gli Allman Brothers continuassero a produrre ottimi risultati dal punto di vista musicale e commerciale, ma sicuramente non esaltanti e irripetibili come l’impatto generato dalla prima formazione, da quel ritmo così trascinante e innovativo, da quei riff taglienti e da quei colori che solo il loro vero creatore è riuscito a rendere talmente vividi da non sbiadire mai di fronte alle intemperie del music business.

 

The Allman Brothers Band (1969)

 

Nasce proprio con questo disco ciò che verrà definito southern rock; c’è tutto quello che serve per una vera e propria esplosione musicale: il timbro vocale di Gregg Allman a metà tra il soul ed il gospel, una instancabile e versatile sezione ritmica composta da ben due batteristi (Butch Trucks e Jai “Jaimoe” Johanson) accompagnata dal brillante basso di Berry Oakley, il tutto deliziato dal tocco finale di due eccezionali chitarristi come Dickey Betts e Duane Allman.

È un vero uragano quello che parte fin dal primo brano interamente strumentale, dove i cambi di tempo tipici del progressive creano lo sfondo adatto per le due infuocate chitarre all’unisono di Duane e Betts; senza un attimo di respiro si passa alla seconda traccia, “It’s not my cross to bear”, uno straziante blues lento che raggiunge l’apice con la “cavalcata” ritmica finale. Ed eccoci arrivati a “Black hearted woman”, forse il brano che più di tutti mostra la creatività della band, che spazia da riff hard rock a ritmi country e sincopati, dove Duane trova pane per i suoi denti.

In “Trouble no more”, blues firmato Muddy Waters, è la chitarra slide a farla da padrona, un’altra brillante caratteristica del virtuosismo di Duane Allman. Sarà il fratello Gregg a dominare con la sua voce in “Every hungry woman” che precede i due ultimi brani del disco, due veri capolavori: “Dreams”, una vera e propria perla, dove la band mostra tutta la sua versatilità con la metrica jazzistica in 12/8, le atmosfere country e psichedeliche e il tour de force di Duane alla chitarra slide; si chiude con “Whipping post” che diventerà un’epica jam abitudinale in ogni esibizione live del gruppo.

 

Tracce:

1.Don't want you no more
2.It's not my cross to bear
3.Blach hearted woman
4.Trouble no more
5.Every hungry woman
6.Dreams
7.Whipping Post

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