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Grateful Dead - Workingman`s Dead

Dopo essere saliti agli onori delle cronache grazie ai primi tre album pubblicati tra il 1967 ed il 1969, che mostrarono una crescita sempre più sostanziale, con l’inizio del nuovo decennio i Grateful Dead cambiarono la loro direzione musicale in maniera netta ed inattesa. La band capitanata da Jerry Garcia stupì tutti con un’accoppiata di album in cui a predominare non erano più il rock psichedelico od il blues, bensì il country ed il folk, così tanto distanti da quelle sonorità a cui i fan di prima ora del gruppo erano ormai abituati. E così, dopo gli ottimi riscontri ricevuti da Anthem of the Sun prima ed Aoxomoxoa dopo, il combo di San Francisco inaugurò il nuovo decennio pubblicando nel giugno del 1970 Workingman’s Dead e nel novembre dello stesso anno American Beauty, due album che portarono finalmente quel successo commerciale che ancora non era arrivato. La formazione dell’epoca comprendeva, oltre al già citato Jerry Garcia (il quale gestiva le parti soliste di chitarra, la pedal steel guitar e presenziava dietro al microfono), anche il chitarrista Bob Weir, il bassista Phil Lesh, il tastierista e armonicista Ron “Pigpen” McKernan e ben due batteristi: Bill Kreutzmann e Mickey Hart. Quest’ultimo non sarebbe durato a lungo tra le fila della band, dato che lasciò i Grateful Dead nel febbraio del ’71, mentre l’addio di McKernan fu un tragico evento, causato dalla sua morte per cirrosi epatica nel marzo del ’73. Settimo membro accreditato tra le note del disco era il paroliere Robert Hunter. Al momento di realizzare Workingman’s Dead, i Grateful Dead erano perciò all’apice della loro carriera, nel pieno della loro vena creativa, enfatizzata dall’album Live/Dead, uscito nel 1969, ovvero la consacrazione della vera forza della band: il palcoscenico, luogo in cui la band californiana si destreggiava in totale libertà dando vita a brani lunghi ed elaborati, frutto del loro genio musicale e spesso completamente diversi, rinnovati rispetto alle corrispettive versioni in studio.

Workingman’s Dead venne registrato in pochissimi giorni e fu molto influenzato da artisti contemporanei coi quali gli stessi Dead avevano rapporti d’amicizia, come anche Garcia tenne a precisare. Tra questi, l’importanza maggiore la ebbero Crosby, Still & Nash, il cui stile riecheggia non poco tra i solchi dell’album. Ciò risulta evidente già nell’iniziale Uncle John’s Band, in cui, al di là del lato strumentale che resta perlopiù uno sfondo, ad emergere sono soprattuto le voci, corali e molto soft nell’approccio, ma allo stesso tempo trascinanti. Stesso discorso per la successiva High Time, canzone che più di tutte potrebbe risultare ostica da digerire per i fan di vecchia data, non abituati ad un andamento così estremamente lento e d’atmosfera. Sotto questo punto di vista, Dire Wolf è una canzone fortunatamente più vivace, che ci risveglia dal leggero torpore iniziale -di qualità, ma pur sempre di questo si tratta- e ci accompagna alla più blueseggiante New Speedway Boogie, con un cantato più deciso e delle chitarre maggiormente impegnate a creare il giusto contorno. Sulla scia di quest’ultima troviamo anche Cumberland Blues, canzone dal ritmo per la prima volta incalzante e molto coinvolgente. Il comparto vocale gira senza intoppi e qui più che mai viene a galla la vera anima country dell’album. Si torna su ritmi blandi e quasi trascinati su se stessi con la gradevolissima Black Peter; al di là della bella voce narrante di Garcia, si capisce subito che ogni elemento è al proprio posto, e così anche un lieve accenno di tastiere sullo sfondo o una nota emessa dall’armonica in maniera appena percepibile risulta fondamentale per la buona riuscita del pezzo. Easy Wind è invece una di quelle tracce che sembra costruita apposta per essere riproposta dal vivo, in lunghe suite di venti minuti o anche più, in cui ogni strumento ha la possibilità di finire sotto i riflettori con assoli o sperimentazioni varie. La prima e l’ultima traccia di Workingman’s Dead furono le due canzoni scelte come singoli (che tra l’altro non ricevettero un gran feedback all’epoca). Tra le due, la più azzeccata a svolgere questo ruolo è però Casey Jones, frizzante ed estremamente orecchiabile, che ben si adatta al mood del disco.

Il quarto album dei Grateful Dead all’epoca in cui uscì lasciò spiazzati gran parte dei fan della band, e rappresentò un punto di confine piuttosto netto tra il materiale pubblicato prima di allora e quanto fatto successivamente. Paragonare questo lavoro con i precedenti sarebbe un errore in partenza, dato che si tratta proprio di generi e stili differenti tra loro. Con American Beauty i sei californiani proseguirono sulla direzione qui intrapresa -d’altronde solo pochi mesi separano la pubblicazione di questi due album-, salvo incappare di lì a poco in alcune traversie -citate in precedenza- che stravolsero ancora la loro identità musicale. Quarantacinque anni ci separano oggi da Workingman’s Dead, e certo tanti fattori sono cambiati da allora, ma a dispetto delle naturali critiche che si possono muovere a questo lavoro, è significativo notare come certe canzoni suonino ancora efficaci come un tempo, pur nella loro semplicità compositiva. Così lontane da quella primigenia forma di rock psichedelico cui i Grateful Dead ci avevano tanto bene abituati, ma sempre fortemente piacevoli da riascoltare.

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