La registrazione magnetica del suono nasce ufficialmente nell’anno 1898 ad opera dello scienziato danese Valdermar Poulsen, che brevettò un apparato a cui dette il nome di Telegrafono (Telegraphon). Il Telegrafono era costituito da un cilindro sul quale era avvolto a spirale un filo d’acciaio; quando il cilindro veniva messo in rotazione attraverso una manovella, una primordiale testina magnetica inseguiva l’avvolgimento di filo guidata da un meccanismo a vite senza fine e provvedeva a magnetizzare il filo in modo proporzionale al segnale elettrico prodotto da un microfono a carbone. La riproduzione avveniva facendo nuovamente percorrere alla testina l’intero rocchetto di filo; le variazioni di flusso magnetico inducevano nell’avvolgimento una proporzionale tensione elettrica variabile che poteva essere trasformata in suono da un auricolare telefonico.
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Esemplare di Telegrafono a cilindro Valdemar Poulsen (1869-1942)
In quell’epoca non esistevano dispositivi elettronici in grado di amplificare i deboli segnali generati dal microfono o recuperati dalla testina in fase di lettura, la riproduzione era molto debole e la qualità di riproduzione molto bassa, appena sufficiente per la comprensione della voce umana. Circa 20 anni prima Edison aveva inventato il fonografo che nel frattempo aveva goduto di notevoli miglioramenti ed era già diventato un prodotto commerciale in grado di offrire una buona riproduzione delle voci e della musica anche in ambienti grandi e per un certo numero di ascoltatori, quindi inizialmente il telegrafono non ebbe grandi applicazioni pratiche, limitandosi ad essere considerato poco più che una curiosità tecnologica e uno strumento con cui fare esperimenti. Nel corso dell'esposizione mondiale di Parigi del 1900, Poulsen registrò la voce dell'imperatore Francesco Giuseppe d'Austria; questa registrazione è il più antico documento sonoro che abbiamo oggi.
Disegno originale dal brevetto del Telegrafono
Nel 1906 il fisico americano Lee De Forest inventò il primo dispositivo elettronico “attivo” in assoluto: un tubo termoionico derivato dal diodo di Fleming (1904) ma dotato di un terzo elettrodo, detto griglia di controllo. Applicando un debole segnale elettrico a questo elettrodo, era possibile ritrovarlo notevolmente aumentato in ampiezza su un resistore attraversato dalla corrente circolante nel circuito dell’anodo. Il dispositivo amplificatore venne denominato “triodo” (dal greco “tre strade” con riferimento ai tre elettrodi presenti nell’ampolla di vetro: anodo, catodo e griglia di controllo); ben presto venne prodotto industrialmente ed ebbe una diffusione rapidissima nel campo della nascente radiotelegrafia, consentendo in pochi anni la realizzazione di apparati in grado di trasmettere a distanza la voce umana.
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Lee De Forest (1873-1961) inventore del triodo Uno dei primi tubi elettronici di commercio
Poulsen continuò a lavorare al miglioramento della sua invenzione. Avvolse il filo d’acciaio non più su un cilindro ma su un rocchetto, con un meccanismo a orologeria che provvedeva a far girare un secondo rocchetto di raccolta per trascinarlo davanti alla testina magnetica. In questo modo diventava facile sostituire il supporto magnetico e conservare le registrazioni fatte per un utilizzo successivo.
Telegrafono con filo avvolto su rocchetto sostituibile
La disponibilità delle valvole amplificatrici permisero di ottenere un suono di intensità superiore; proseguendo con i suoi esperimenti Poulsen scoprì inoltre che sovrapponendo al segnale registrato una debole corrente continua inizialmente, ed un segnale generato da un oscillatore a frequenza supersonica in un secondo tempo, la qualità della riproduzione aumentava notevolmente. Questo consentì di realizzare un apparato finalmente utilizzabile in pratica, e l'invenzione così aggiornata cominciò a diffondersi soprattutto per l’uso negli uffici come dittafono, dove risultava decisamente più versatile del sistema a rullo di cera inventato da Edison grazie alla possibilità di cancellare e registrare più volte il supporto.
Negli stessi anni andava sviluppandosi in modo rapidissimo anche la radio, gli apparecchi riceventi stavano iniziando ad entrare nelle case e nascevano le prime emittenti radiofoniche che producevano programmi destinati al pubblico. Non esistendo macchine in grado di registrare voci e suoni in modo pratico e con una qualità adeguata alla trasmissione radiofonica, la totalità dei programmi veniva trasmessa in diretta. In questo contesto, nacque quindi l’esigenza di un apparato in grado di registrare voci e suoni in modo più semplice rispetto all’incisione di un disco fonografico e possibilmente con una qualità e una durata superiore (non dimentichiamo che all’epoca non esistevano i dischi microsolco, la durata di una registrazione su disco era dell’ordine di 3-4 minuti al massimo).
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Stazione radio ricevente degli anni '20
Nel 1930, il tecnico tedesco Kurt Stille acquista i diritti dei brevetti di Poulsen e realizza un registratore di dimensioni enormi e qualità sonora finalmente adeguata alle trasmissioni radiofoniche. La macchina viene prodotta in Inghilterra dalla Marconi Co. ed assunse la denominazione di registratore Marconi-Stille.
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Registratore magnetico Marconi-Stille (1930) per uso radiofonico
La parte meccanica deputata al trasporto del nastro era separata dall’elettronica, contenuta nei mobiletti visibili sul lato destro della foto. Il filo magnetico era stato rimpiazzato da una robusta banda di acciaio per tentare di risolvere il problema delle frequenti rotture causate dalle irregolarità di avvolgimento, il trascinamento avveniva a velocità costante (cosa impossibile da ottenere con la trazione del filo da parte del rocchetto avvolgitore) facendo passare il nastro tra l’albero di un motore sincrono e una ruota di gomma, infine il notevole progresso dei tubi elettronici e dei relativi circuiti aveva permesso di realizzare un sistema di amplificatori di registrazione e riproduzione in grado di garantire una qualità del suono superiore ai dischi e più che adeguata per la trasmissione radiofonica.
Come si può vedere dalla foto, il registratore di Stille era di dimensioni enormi. Per garantire una buona qualità di registrazione il nastro d’acciaio doveva scorrere a velocità decisamene elevata: ben 90 metri al minuto. Di conseguenza le bobine, che per offrire circa 30 minuti di registrazione dovevano contenere ben 3Km di nastro, erano ingombranti, pesanti e molto costose. I notevoli sforzi meccanici a cui il nastro era sottoposto durante le operazioni di avvolgimento veloce talvolta ne provocavano la rottura, e le estremità spezzate, volteggiando nell’aria dalle bobine ancora in rotazione, erano molto pericolose per gli operatori addetti alla manovra della macchina. Nonostante ciò, il registratore Marconi-Stille ebbe subito un notevole successo e venne acquistato da svariate stazioni radiotrasmittenti, tra cui la BBC.
La vera svolta tecnologica, che portò alla nascita del primo registratore a nastro così come lo conosciamo nell’era moderna, si ebbe nel 1933 con l’invenzione, ad opera del tecnico austriaco Fritz Pfleumer in collaborazione con il centro di ricerca della AEG, del nastro magnetico vero e proprio. La prima versione era costituita da una striscia di carta sulla quale era stato depositato e incollato un impasto di ossido di ferro marrone. Le sue proprietà ferromagnetiche erano molto inferiori a quelle della striscia di acciaio usata nei Marconi-Stille, tuttavia la tecnologia dell’epoca permetteva di realizzare testine e circuiti amplificatori sufficientemente performanti per poter trattare i debolissimi segnali che questo nastro era in grado di generare, e fin dai primi esperimenti fu chiaro che quella del nastro era la strada giusta da seguire per sviluppare un registratore finalmente non confinato a pochissimi settori di impiego. Il prototipo aveva dimensioni estremamente ridotte rispetto al Marconi Stille, prestazioni decisamente superiori e soprattutto una semplicità di installazione e utilizzo impensabili fino a quel momento.
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Fritz Pfleumer nel 1933, con il suo prototipo di registratore a nastro magnetico costruito nei laboratori AEG.
Nel 1935 la tedesca BASF inizia ufficialmente la produzione del nastro magnetico con destinazione commerciale, mentre la AEG realizza un apparato – denominato Magnetophon – che di fatto è il primo registratore a nastro magnetico dell’era moderna: tre motori, trazione a velocità costante con capstan e pinch roller, premagnetizzazione ad alta frequenza, dimensioni ridotte al punto da poter essere facilmente trasportabile, facile da installare e usare, qualità di registrazione e riproduzione elevata - al punto da avvicinarsi a quella che ancora oggi potrebbe essere chiamata “alta fedeltà” - che finalmente lo rendeva adatto anche alla registrazione della musica, aprendo di fatto una nuova era anche alla tecnica delle registrazioni discografiche.
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"Magnetofon" Telefunken (1935) Interno del "Magentofon"
In quegli anni in Germania si assisteva alla presa del potere da parte del nazismo e di Hitler. Nastro magnetico e registratori vennero subito considerati come prodotti strategici dell’industria tedesca e coperti dal segreto militare. Rimasero quindi confinati alla Germania, che li utilizzò tra l’altro nelle stazioni radiofoniche per la trasmissione dei discorsi propagandistici di Hitler mettendo in seria difficoltà i servizi di spionaggio alleati, che non riuscivano a comprendere come il Fuherer potesse trasmettere un discorso da una città mentre le informazioni in loro possesso ne segnalavano la presenza altrove. Si trattava in realtà di discorsi registrati con una qualità elevata al punto di rendere la trasmissione indistinguibile da una diretta, ma questo fuori dalla Germania non poteva essere compreso in quanto i sistemi di registrazione su disco o su filo d’acciaio conosciuti non permettevano di raggiungere simili risultati.
Nel 1939 venne fatta in uno studio appositamente allestito nella sede della BASF la prima registrazione di musica sinfonica, per collaudare un nuovo tipo di nastro magnetico ad alte prestazioni con lo strato di supporto in acetato in luogo della più fragile carta usata fino a quel momento.
Nel corso della seconda guerra mondiale, i laboratori AEG continuarono lo sviluppo del registratore a nastro, arrivando nel 1943 alla realizzazione di un modello stereofonico operante alla velocità di 76 cm/s con una risposta in frequenza che raggiungeva i 15.000HZ e una dinamica di almeno 60dB, quindi in grado di offrire una riproduzione musicale che potrebbe essere considerata anche oggi "ad alta fedeltà".
Nel resto del mondo, ignaro dei progressi ottenuti dai tecnici tedeschi, la registrazione magnetica procedeva a rilento. La tecnologia del filo d’acciaio era abbastanza consolidata e aveva quasi raggiunto i suoi limiti, che la confinavano all’uso come dittafono da ufficio o per registrazioni di qualità bassissima. Nel 1940 a Chicago la ditta Webster iniziò la produzione di alcuni registratori a filo di piccole dimensioni e costo ridotto, destinati al mercato di massa. Gli apparecchi ebbero un buon successo, e l’azienda presto diventò leader del settore realizzando numerosi modelli e rimase sul mercato fino agli anni 50.
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Registratore a filo della Webster Chicago (1940) Altro modello di registratore a filo Webster
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Il dopoguerra negli U.S.A.
Nel 1945, le industrie della Germania sconfitta vennero messe sotto il controllo dei paesi Alleati, e Invenzioni e tecnologie che il regime nazista aveva tenuto ben celate diventarono proprietà principalmente degli USA e dell’Inghilterra. Tra queste invenzioni ovviamente c’erano anche il nastro magnetico e i relativi apparati di registrazione. Tra storia e leggenda, si racconta che un tecnico della AEG abbia consegnato nelle mani di un collega dell’esercito americano un sacchetto di polvere marrone, dicendogli “Prendi questo e fallo conoscere al mondo, vale molto più di quello che credi”. Poi lo portò in una stanza, caricò una bobina di nastro su un Magnetophon e lo mise in modo, lasciando letteralmente senza parole il giovane tecnico.
La polvere marrone era l’ossido di ferro con cui veniva realizzato lo strato magnetico dei nastri dalla BASF; il tecnico americano era il Maggiore John T. Mullin. Egli riuscì a spedire in patria due registratori prelevati dai laboratori AEG e numerose bobine di nastro, poi una volta rientrato lasciò l’esercito e si dedicò allo studio e al miglioramento di quelle macchine ancora sconosciute al resto del mondo, fino ad arrivare ad una dimostrazione pubblica organizzata nel 1946 a S.Francisco.
In quel periodo una delle star più famose della radio americana, Bing Crosby, stava studiando la possibilità di registrare le proprie trasmissioni per trasmetterle in differita. Tuttavia la tecnologia di registrazione su disco non consentiva una qualità sufficiente per l’uso radiofonico, e quella su filo d’acciaio era addirittura inferiore. Così Crosby accettò la proposta di Mullin di provare la registrazione su nastro magnetico con le sue macchine, quando ascoltò il risultato ne rimase assolutamente strabiliato e la NBC finalmente accettò di mandare in onda le trasmissioni registrate.
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John "Jack" T. Mullin (1913-1999) John Mullin con due esemplari di registratore
Era il 1947; alla ricerca di un partner che si occupasse della produzione e della vendita dei registratori Crosby e Mullin si rivolsero ad una piccola azienda di elettronica nata tre anni prima ad opera di Alexander Michael Poniatoff. Poniatoff si rese conto di avere davanti qualcosa che avrebbe rivoluzionato il modo di fare radio e produzione discografica in tutto il mondo, e in breve tempo la Ampex (sigla formata dalle iniziali del nome del fondatore più EX per “excellence”) iniziò la produzione sia di nastri magnetici che di registratori destinati principalmente all’impiego radiofonico e professionale. Nacque così il primo registratore professionale d'oltre oceano, l'Ampex 200.
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Bing Crosby mostra a un'ospite della sua trasmissione
un Ampex 200 Ampex 200, il primo modello di registratore
prodotto dall'azienda americana
Foto pubblicitaria con Bing Crosby che parla al microfono davanti a un modello Ampex destinato al mercato consumer
Fino a quel momento la registrazione di un disco fonografico avveniva solo in diretta, e produceva direttamente una lacca master attraverso un tornio di incisione. Da quella unica lacca master venivano poi ricavate, con processi di stampa successivi, numerose matrici che poi potevano essere utilizzate per la stampa dei dischi veri e propri. Il problema fondamentale stava nel fatto che ogni volta che la lacca master veniva utilizzata per creare una matrice si aveva una certa usura con peggioramento della qualità della registrazione in essa contenuta, inoltre non c’era alcuna possibilità di manipolazione o modifica del contenuto neppure per eliminare un rumore, in caso di errore anche minimo era necessario buttare la lacca e ricominciare da capo, e se dopo la registrazione la lacca si fosse danneggiata o rotta tutto il lavoro sarebbe andato irrimediabilmente perso.
Le case discografiche compresero subito l’importanza di avere a disposizione delle macchine in grado di registrare programmi musicali su un supporto manipolabile (per eliminare un rumore o un qualsiasi difetto era sufficiente tagliare il pezzo di nastro corrispondente) e modificabile, archiviabile facilmente con costi e ingombri contenuti, e soprattutto utilizzabile per la riproduzione un numero di volte virtualmente illimitato senza perdite apprezzabili di qualità della registrazione per creare tutte le matrici necessarie per la stampa dei dischi anche in un secondo tempo. Nel corso degli anni 50 la richiesta di registratori professionali alla Ampex conobbe una crescita esponenziale, e grazie ad un team di ricerca e sviluppo che comprendeva tecnici e ingegneri di grande valore la tecnologia della registrazione ebbe uno sviluppo mai conosciuto fino a quel momento.
Alexander M.Poniatoff (a destra) con un registratore professionale Ampex.
A metà degli anni 50 Ampex iniziò la commercializzazione delle prime macchine multitraccia, dapprima a 4, poi a 8 ed anche a 16 su nastro da 2 pollici (1968), dedicate esplicitamente alla produzione discografica. Contemporaneamente, divenne anche il maggior produttore americano di nastri magnetici conquistando praticamente la totalità del mercato professionale negli USA e nel resto del mondo.
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Registratori professionali Ampex a 2, 4, 16 tracce degli anni '60
Pubblicità del modello ATR100 (1976) dotato di un sofisticatissimo sistema di trasporto del nastro in grado di fare a meno del pinch roller
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Lo sviluppo in Europa
Mentre negli USA la registrazione magnetica conosceva il suo periodo di massimo sviluppo e crescita, l’Europa era impegnata nella ricostruzione del dopo guerra. Le industrie discografica e radiofonica stavano faticosamente tentando di risollevarsi dopo il disastro degli anni precedenti, e sicuramente c’erano da costruire cose ben più importanti ed essenziali dei registratori.
Non vi furono sostanzialmente evoluzione e mercato fino all'inizio degli anni 50, quando una piccola azienda svizzera che fino a quel momento aveva costruito oscilloscopi e altri strumenti di misura realizzò un registratore a nastro magnetico: si trattava del modello Studer Dynavox T26. L'apparecchio ebbe un notevole successo, nonostante il prezzo non propriamente popolare, e l'azienda conobbe una rapida crescita che le permise di studiare e realizzare nuovi modelli sempre più avanzati.
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Willi Studer (1912-1996) fondatore dell'omonima
azienda elvetica Il Dynavox T26
Il 1960 si può considerare l’anno di nascita della registrazione professionale in Europa, con la commercializzazione del modello C37. Se fino a quel momento la produzione europea era stata essenzialmente costituita da piccoli apparati economici per uso domestico, con il C37 per la prima volta entra sul mercato un apparato professionale a tutti gli effetti, disponibile in versione a 2 o 4 tracce (un esemplare a 4 tracce su nastro da 1 pollice venne acquistato dagli studi di Abbey Road dei Beatles e usato per la registrazione della maggior parte dei loro successi) e con prestazioni adeguate ad una produzione discografica di assoluta eccellenza.
Studer C37 a 4 tracce su nastro da 1/2 pollice
Nel corso degli anni 60 la tecnologia dei componenti elettronici conobbe uno sviluppo rapidissimo, che dai primi transistor rudimentali al germanio portò rapidamente alla comparsa sul mercato di transistor ad alte prestazioni, componenti di potenza in grado di trattare tensioni e correnti elevate, e ai primi circuiti integrati sia analogici che digitali. Questo permise a Studer, che aveva ormai consolidato la sua posizione di mercato diventando leader assoluto in Europa e ponendosi a livello mondiale alla pari di Ampex, di investire nello sviluppo di una nuova linea di macchine a stato solido fino ad arrivare nel 1970 alla realizzazione del modello A80, registratore modulare disponibile in varie versioni da 2 fino a 24 tracce.
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Studer A80 a 2 tracce su nastro da 1/4 di pollice Studer A80 24 tracce su nastro da 2 pollici
Confrontato con il precedente C37 e derivati, l'A80 risulta molto meno pesante e ingombrante, consuma meno ed emette poco calore, è dotato di contatore digitale con indicazione in tempo reale che permette di trovare rapidamente e con precisione qualsiasi locazione sul nastro, e grazie alla sofisticata elettronica di controllo dei motori offre una elevatissima precisione di trasporto con valori particolarmente bassi di wow e flutter.
Nel corso degli anni 70 il settore della registrazione professionale venne dominato essenzialmente dalla americana Ampex, che aveva realizzato una macchina con una meccanica innovativa (ATR100) in grado di lavorare senza pinch roller grazie ad un sofisticatissimo sistema elettronico di controllo dei motori, e dalla europea Studer con la gamma degli A80 e derivati. Anche altre aziende europee si erano cimentate nella costruzione di registratori professionali, guadagnando a pieno diritto un loro spazio. Vale la pena di ricordare la tedesca Telefunken con il modello M15, Stellavox con la serie TD, e Nagra che produceva quelli che probabilmente sono stati i migliori registratori portatili in assoluto, acquistati da stazioni radio e televisive di tutto il mondo e utilizzati anche nelle riprese aidio in campo cinematografico.
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Registratore portatile Nagra Telefunken M15
Nel corso dello stesso decennio, l'elettronica iniziò una radicale trasformazione verso la tecnologia digitale. I circuiti integrati, sia analogici che digitali, ebbero una diffusione sempre maggiore grazie alla complessità delle funzioni implementate a basso costo, e apparvero i primi sistemi a microprocessore che finalmente consentivano di realizzare macchine "intelligenti" di dimensioni e prezzi compatibili con il grande mercato. Chiaramente anche il settore della registrazione professionale poteva trarre beneficio dall'applicazione dei microcomputer nella gestione delle macchine, e i vari costruttori non tardarono a sviluppare apparati secondo le nuove tecnologie.
Nel 1986 Studer lanciò una serie di macchine innovative controllate da microcomputer che dava loro una versatilità finora mai vista in nessun altro registratore da studio. Il capostipite A810 aveva dimensioni e peso contenuti al punto da poter essere facilmente trasportato e utilizzato anche per registrazioni dal vivo, e grazie all’adozione di tutte le migliori tecnologie dell’epoca vantava un insieme di caratteristiche tecniche assolutamente impensabile fino a quel momento.
Studer A810
La vera novità che differenziava l'A810 da tutti i registratori finora prodotti era il sistema di controllo basato sul microprocessore Motorola 68HC03. Il microcomputer non solo si occupava di gestire i comandi e la meccanica, ma memorizzava anche tutti i parametri di calibrazione della sezione analogica (amplificatori di registrazione e riproduzione) che venivano tarati non più tramite i classici trimmer da girare con il cacciavite, ma attraverso l'inserimento di valori numerici con un'apposita tastiera posizionata dietro al pannello dei vu-meter. Le procedure di taratura erano così enormemente velocizzate e semplificate, e la macchina poteva memorizzare calibrazioni separate per ogni velocità di scorrimento del nastro, per ogni equalizzazione e persino due set completi di parametri per due tipi di nastro diversi.
Ben presto all’A810, prodotto solo in versione a 2 tracce, si aggiunsero altri modelli più sofisticati per l’uso in studio, sia a 2 che a più tracce, fino ad arrivare alla massima espressione delle capacità tecniche dell’azienda con il modello A820.
Studer A812 Studer A820 a 24 tracce
Nagra T-Audio: la risposta di Nagra alle macchine computerizzata di Studer.
Si tratta probabilmente del più complesso e sofisticato registratore audio analogico mai realizzato.
Nel corso degli anni 80, anche alcuni importanti costruttori giapponesi si sono cimentati nella realizzazione di macchine a bobina professionali, gestite da microcomputer e in grado di rivaleggiare alla pari con i vari Studer o Ampex. La diffusione di queste macchine in Europa è stata comunque limitata rispetto agli altri marchi più noti.
Sony APR5000 Otari MTR15, forse l'unico registratore a
bobina dotato di sistema di calibrazione automatica
dei parametri di registrazione.
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Il settore consumer
Mentre negli USA la registrazione magnetica conosceva il suo periodo di massimo sviluppo e crescita, l’Europa era impegnata nella ricostruzione del dopo guerra. Le industrie discografica e radiofonica stavano faticosamente tentando di risollevarsi dopo il disastro degli anni precedenti, e sicuramente c’erano da costruire cose ben più importanti ed essenziali dei registratori. Di conseguenza fino ai primi anni 50 non vi fu alcun tipo di sviluppo, e la tecnologia rimase ferma al vecchio registratore a filo d’acciaio. Nel 1950 la Geloso, una delle più note aziende italiane che produceva apparecchi radio e audio destinati al mercato di massa, mise in catalogo un registratore a filo (modello G240) spiegando le ragioni per cui un simile prodotto era da preferire ai più moderni registratori a nastro; solo 3 anni dopo iniziò la vendita di un registratore a nastro magnetico per uso domestico, in ritardo di anni rispetto all’industria di oltre oceano.
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Catalogo Geloso del 1950: registratore a filo
Mentre i grandi costruttori si dedicavano alla produzione di registratori sempre più costosi e performanti destinati alle emittenti radiofoniche e alle case discografiche, il boom economico spinse molte aziende che producevano elettrodomestici e apparecchi radio ad iniziare la costruzione di registratori di prestazioni più o meno modeste, ma anche di prezzo relativamente basso e in grado di interessare anche categorie di acquirenti che fino a quel momento non avrebbero mai pensato di acquistare un registratore.
Negli anni 60 apparvero quindi decine e decine di marchi che offrirono al pubblico registratori di tutti i tipi (alcuni marchi sicuramente noti: Incis, Lesa, Philips, Geloso, Grundig…), da quelli più elementari in grado a mala pena di riprodurre in modo accettabile il parlato, fino a macchine che in certi casi potevano anche avvicinarsi per prestazioni agli apparati professionali. Grazie a questi apparecchi, la registrazione magnetica iniziò a entrare anche nella vita di tutti i giorni, e a fine anni 60 moltissime famiglie disponevano di un registratore a nastro con cui registrare le trasmissioni radiofoniche o le voci dei familiari e ascoltare musica in qualsiasi occasione.
La Geloso, che fino a pochi anni prima era saldamente ancorata al sistema a filo, realizzò una serie di apparecchi particolarmente economici e di piccole dimensioni, che ebbero una diffusione enorme presso il grande pubblico e vennero familiarmente denominati "Gelosini". Questi oggetti ancora oggi sono facilmente reperibili nei mercatini dell'usato, e con poco lavoro è possibile riportarli in condizioni di funzionamento più che accettabili per poter riascoltare i nastri dell'epoca.
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Registratore Geloso G256 (1958 circa) Schema di registratore Geloso G257
Registratore LESA RENAS Registratore Incis TK6
La diffusione dei registratori convinse anche alcune case discografiche – soprattutto negli USA - a mettere in commercio materiale preregistrato, in genere in bobine di piccole dimensioni. Tali nastri avevano spesso una qualità di riproduzione veramente eccellente; molti esemplari sono arrivati fino ai nostri giorni in ottimo stato di conservazione e possono essere apprezzati pienamente tramite registratori più performanti di quelli disponibili all’epoca.
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Pubblicità RCA-Victor di nastri preincisi destinati al grande pubblico
Un registratore amatoriale che per circa un decennio fu un punto di riferimento assoluto per gli appassionati venne realizzato nel 1967 dalla stessa Studer, e immesso sul mercato con il marchio Revox: si trattava del modello A77, dotato di alcune soluzioni tecnologiche mutuate dal settore professionale, interamente transistorizzato, compatto e trasportabile. Nelle sue varie versioni, il Revox A77 ebbe ben presto una grande diffusione in tutto il mondo e fu usato persino per alcune produzioni discografiche. Particolarmente nota è una registrazione di musica sacra realizzata nel 1976 con un A77 e due soli microfoni, pubblicata dalla casa discografica svedese Proprius; tale disco è a tutt'oggi famosissimo presso gli audiofili come registrazione di qualità particolarmente elevata e realistica.
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REVOX A77 Il "Cantate Domino" registrato nel 1976 con
un Revox A77 a 38 cm/s e due soli microfoni
Il 1967 vede la nascita della "cassetta" Philips. Fino a quel momento svariati costruttori avevano tentato di realizzare un sistema di immagazzinamento del nastro magnetico più piccolo e pratico delle bobine aperte, ma senza ottenere un significativo riscontro commerciale. La cassetta Philips, che usava un nastro di altezza dimezzata rispetto allo standard delle bobine da 1/4 di pollice che scorreva alla velocità di 4.75 cm/s, nacque senza alcuna pretesa di alta fedeltà, destinata principalmente alla registrazione della voce. Tuttavia, grazie al basso costo sia del nastro che degli apparecchi, ed alle piccole dimensioni che permisero di realizzare registratori portatili alimentati a batterie, ebbe subito un buon successo che spinse svariati costruttori ad entrare nel mercato e sviluppare apparecchi con qualità sempre crescente. Prima che la cassetta potesse effettivamente entrare a far parte dell'alta fedeltà, tuttavia, fu necessario attendere fino alla seconda metà degli anni 70 quando lo sviluppo dell'elettroinca, della chimica dei nastri e della tecnologia costruttiva delle testine magnetiche portò ad avere i primi registratori con caratteristiche di qualità sufficientemente elevata.
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Philips EL3301, uno dei primi e più diffusi registratori a cassette
Nel corso degli anni 70, il miglioramento delle condizioni economiche e il conseguente innalzamento del tenore di vita della maggior parte della popolazione del mondo occidentale accrebbero l'interesse del grande pubblico verso l'ascolto domestico di qualità della musica. Accanto all'universalmente diffuso giradischi, il registratore a cassetta o a bobina era un complemento quasi sempre presente in tutti gli impianti ad alta fedeltà. Tutti i maggiori costruttori orientali di elettroniche misero nei loro cataloghi numerosi modelli di registratore, con prestazioni e prezzi adatti a tutte le esigenze e a tutte le tasche, e in breve tempo per gli acquirenti ci fu solo l'imbarazzo della scelta. Tra i marchi più famosi che realizzarono apparecchi di ottima qualità possiamo citare Akai, Sony, Aiwa, Technics-Panasonic, TEAC, e moltissimi altri (anche se spesso le aziende minori si limitavano ad acquistare registratori di costruttori più grandi e rimarcarli con qualche piccola modifica estetica).
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Technics RS1500 "Nasone" (1978), forse il più
bello in assoluto tra i registratori a bobine consumer.
Il 1976 segna la nascita del sistema ELCASET realizzato da Sony: una cassetta di dimensioni maggiori contenente un nastro da 1/4 di pollice che scorre alla velocità di 9.5 cm/s. La qualità della riproduzione è veramente eccellente, raggiunge il livello di molti registratori a bobine con la praticità della cassetta. Nonostante ciò, l'elevato costo di nastri e apparecchi, la mancanza di software commerciale, l'impossibilità pratica di avere registratori portatili o installabili in auto e il rapido sviluppo delle prestazioni della cassetta "piccola" faranno sì che in breve tempo questo sistema diventi un vero e proprio flop commerciale. Dopo soli 4 anni, Sony e le poche altre aziende che avevano realizzato i registratori Elcaset abbandonarono il campo, cessando la produzione delle macchine e dei nastri.
Bang & Olufsen, design europeo purtroppo non supportato da una adeguata qualità costruttiva e sonica.
Un registratore Elcaset Sony EL-7 (sotto) e un registratore a cassetta Philips sopra (Sony TC-229SD), notare la voluta somiglianza tra i due modelli e la differenza di dimensione della cassetta.
Nel 1978 Revox decide di pensionare lo storico A77, giunto ormai alla quarta versione. Lo sostituisce il nuovo B77, che mantiene la stessa impostazione di base ma beneficia di dieci anni di evoluzione tecnologica e diventa il registratore a bobina per antonomasia, prodotto in oltre 700.000 esemplari. Poco dopo costruisce anche il suo primo registratore a cassetta, con le stesse caratteristiche di affidabilità e robustezza del fratello a bobine e ingegnerizzato in maniera impeccabile.
Revox B77
Sony realizza un apparecchio innovativo: un riproduttore di cassette di qualità in cuffia e alimentato a batterie, talmente piccolo da poter essere portato in tasca e utilizzato anche in movimento. Il Walkman diventa ben presto un successo mondiale, venduto in milioni di pezzi e rapidamente imitato da tutti i concorrenti.
Sony Walkman
Nel 1980 la cassetta ha ormai raggiunto la piena maturità, grazie alla commercializzazione dei nastri metal e a nuove testine che messi insieme permettono di raggiungere risposte in frequenza estese oltre i fatidici 20KHz considerati la soglia dell'alta fedeltà. Arrivano anche nuovi tipi di sistemi di riduzione del rumore (Dolby C e DBX i più famosi) e "trucchi" tecnologici per estendere la gamma dinamica alle alte frequenze (Dolby HX). Le macchine più sofisticate sono dotate anche di un sistema computerizzato di calibrazione automatica, che regola bias ed equalizzazione di registrazione in modo da ottenere il massimo delle prestazioni con qualsiasi tipo di nastro. Con un buon deck a cassette la registrazione di un disco è praticamente indistinguibile dall'originale.
La cassetta entra anche nel settore broadcast e professionale con la Studer A721. Una meccanica robustissima e semplice, basata su quattro motori a trazione diretta e del tutto priva di cinghie e parti soggette a degrado nel tempo, associata a un sistema di taratura automatica gestita da microcomputer di elevatissima precisione, ne fanno il registratore a cassette in assoluto più performante mai realizzato. Il costo elevatissimo ne limita la diffusione al solo settore broadcast e professionale, dove diventa di fatto il deck di riferimento.
Studer A721, deck a cassette broadcast-professionale di riferimento
I giapponesi conquistano ben presto la maggior parte del mercato dell’alta fedeltà consumer, lasciando a europei e americani fette di mercato minori o di nicchia, come la cosiddetta “hi-end”. Marchi come Akai, Sony, Pioneer, Teac, Technics e molti altri invadono i negozi di mezzo mondo, e ognuno di essi offre registratori per tutte le esigenze e per tutte le tasche. I registratori a cassetta conquistano fette di mercato sempre crescenti, a svantaggio del più performante ma costoso e meno pratico sistema a bobine che rimane appannaggio solo degli audiofili più esigenti e delle radio private, che necessitano di macchine in grado di riprodurre programmi per lunghi periodi di tempo da utilizzare nelle ore notturne.
Nonostante i registratori a cassette abbiano praticamente monopolizzato il mercato della registrazione domestica e molti costruttori tolgano nel corso della prima metà degli anni 80 gli apparati a bobina dai loro cataloghi, alcuni marchi "storici" continuano a presentare nuovi modelli di alte prestazioni, che resisteranno ancora per alcuni anni. Il più longevo apparecchio a bobina in assoluto sarà il TEAC X2000, messo in commercio nel 1992 e disponibile su richiesta fino all'anno 2000. La dotazione di sofisticati sistemi di riduzione del rumore (dbx) e la particolare qualità dell'elettronica porteranno alcuni di essi a livelli veramente notevoli, in grado di rivaleggiare con la qualità di registrazione delle macchine digitali.
L'evoluzione delle piastre a cassette prosegue per tutto il decennio fino ai primi anni 90, soprattutto a opera dei costruttori orientali che realizzano apparecchi dedicati al mercato consumer, talvolta di affidabilità non eccelsa ma con prestazioni veramente buone, al punto da non far rimpiangere, almeno alla maggior parte degli utilizzatori, il voluminoso ma più performante registratore a bobina ormai caduto nel dimenticatoio.
Il nastro digitale
Il 1983 segna ufficilamente l'ingresso della tecnologia digitale nel mondo dell'alta fedeltà consumer, con la presentazione dei primi lettori di CD Philips e Sony. In realtà la registrazione digitale era già in uso da alcuni anni nel settore professionale, anche se poi il prodotto finale veniva per forza di cose riversato in un supporto analogico, generalmente sotto forma di disco in vinile. La giapponese DENON fu una delle prime case discografiche a pubblicare lavori registrati in digitale, come si può intuire dalla scritta PCM sulla copertina:
Particolare della copertina di un disco da master digitale pre-era CD
Brothers in Arms dei Dire Straits, registrato in PCM e pubblicato in vinile
I sistemi di registrazione digitale su nastro si suddividono sostanzialmente in due categorie: quelli che registrano i dati tramite testina fissa su tracce multiple longitudinali (DASH, ovvero Digital Audio Stationary Head) e quelli che utilizzano un sistema a testine rotanti che registra i dati a pacchetti su tracce oblique, in modo simile a un videoregistratore (DAT Digital Audio Tape e sue varianti).
La tecnologia DASH è più costosa da implementare, le macchine sono complesse e ingombranti, ma permette di effettuare operazioni di editing (inserimento, montaggio, taglio) in modo simile al nastro analogico grazie alla registrazione dei dati lineare. Le macchine DASH da studio più utilizzate sono state prodotte da Sony e Studer; il formato standard prevedeva una frequenza di campionamento di 44.1 o 48KHz e una risoluzione di 16 bit, ma alcuni modelli particolarmente performanti operavano a 20 bit e 96KHz.
SONY PCM3402 Dash 2 tracce SONY PCM3402 gruppo testine
Studer D820 DASH a 24 tracce
I primi registratori audio a testina rotante sono nati come moduli di conversione AD-DA da collegare a un videoregistratore, al quale inviavano uno pseudo-segnale video modulato dai dati in uscita dal convertitore. Il videoregistratore era l'unico apparato pratico e relativamente economico per registrare la quantità di dati necessaria, e il sistema ebbe un discreto successo nel campo professionale o semiprofessionale. Il più diffuso convertitore fu sicuramente il piccolo SONY PCM-F1, che in unione al videoregistratore portatile Betamax SL-F1 costituiva un completo sistema di registrazione audio digitale portatile, alimentato a batteria, piccolo e leggero. Il sistema operava con frequenza di campionamento di 44.1KHz (la stessa del CD) e risoluzione di 14 bit, offrendo una risposta in frequenza lineare fino a 20.000 Hz e una gamma dinamica di circa 90dB con distorsione armonica e wow & flutter praticamente nulli.
Videoregistratore Betamax SL-F1 e convertitore audio PCM-F1
L'evoluzione naturale dell'accoppiata videoregistratore + convertitore esterno fu il DAT, immesso sul mercato da Sony nel 1987. Il DAT usa una cassetta di piccole dimensioni con nastro da 1/8 di pollice. La registrazione viene fatta da una coppia di testine rotanti, ognuna delle quali traccia il nastro per 1/4 del tempo di un giro; i dati vengono quindi registrati a pacchetti intervallati da tratti di silenzio. Un apposito processore si occupa di prendere i dati in arrivo dai convertitori ed elaborarli, creando i pacchetti da registrare con l'aggiunta di un robusto sistema di correzione di errori multipla che in casi limite consente il playback anche con il solo 50% dei dati recuperati dal nastro. In fase di riproduzione il decoder riceve i dati dalle testine, li decodifica e li archivia in un buffer di memoria dal quale poi viene fatta la lettura continua per l'invio al convertitore DA.
Lo scopo principale del DAT, nelle intezioni del costruttore, era quello di creare l'equivalente della cassetta audio analogica per il mondo digitale; così vennero commercializzati modelli di registratore DAT praticamente da parte di tutti i maggiori costruttori di apparecchiature hi.fi, in particolare orientali. Sony e Tascam probabilmente furno quelli con i cataloghi più "nutriti" di modelli con caratteristiche diverse e adatti per applicazioni consumer e professionali.
Nonostante le eccellenti caratteristiche tecniche, il suono di altissima qualità (anche superiore al CD, grazie alla maggiore frequenza di campionamento) e la praticità di uso, il DAT ebbe un successo abbastanza limitato nel settore consumer, e non riuscì a rimpiazzare la cassetta audio tradizionale nelle case degli audiofili. Questo accadde essenzialmente per due ragioni: il costo delle macchine DAT era abbastanza elevato, e la cassetta analogica aveva raggiunto un livello qualitativo molto alto e comunque più che sufficiente per la maggior parte degli utenti. Nel settore professionale invece il DAT ebbe una notevole diffusione, tanto che fino a poco tempo fa veniva regolarmente utilizzato per la creazione dei master finali da parte di piccoli studi e per registrazioni "live" di alta qualità con macchine portatili.
Oltre ai sistemi citati, sono stati prodotti anche vari altri tipi di macchine, che utilizzavano cassette video (VHS e Video8) e potevano registrare 8 tracce in contemporanea. Tali tipi di registratore digitale sono stati utilizzati esclusivamente negli studi di registrazione, spesso combinati in rack con apparati di sincronizzazione per creare macchine a 16 o 24 tracce.
Un registratore ADAT, 8 tracce digitali su cassetta VHS
L'evoluzione delle memorie a stato solido ha trasformato rapidamente i registratori digitali, sia consumer che professionali, eliminando anche da questi il nastro magnetico. Oggi un registratore digitale a 2 tracce su memory card offre campionamenti a 96KHz o superiori con risoluzione di 24 bit, a prezzi inferiori a quelli di un DAT del passato e con dimensioni e peso minimi. Tecnologicamente, però, il DAT è tutt'altra cosa...
Il declino
Mentre il registratore a bobine perdeva rapidamente terreno nel mercato consumer, le sue prestazioni e l’elevata affidabilità continuarono a mantenerlo in una posizione di assoluto dominio nel settore professionale per tutti gli anni 80, nonostante la rapida avanzata anche in questo ambito delle tecnologie digitali. Il progresso non permise agli ingombranti e costosi Studer e Ampex che affollavano studi di registrazione e stazioni radio di resistere a lungo, e verso fine degli anni 90 l’opera di “digitalizzazione” della filiera della produzione e della diffusione musicale era ormai totale: al posto dei registratori a bobina analogici c’erano macchine che registravano in digitale, dapprima su nastri di tipo video (DAT, sistemi multitraccia su cassette 8mm, ADAT su nastri simili ai VHS, sistemi DASH e altro) e in seguito su dischi rigidi da computer. Dopo quasi un secolo di regno incontrastato, il registratore magnetico si stava avviando sulla strada del collezionismo e dei musei.
Se le caratteristiche dei registratori a bobina professionali ne consentirono la sopravvivenza anche per svariati anni dopo la nascita del digitale, non ebbero la stessa fortuna i registratori consumer. La maggior parte dei costruttori, verso la fine degli anni 80, produsse apparecchi dal prezzo sempre più basso per tentare di sostenere un mercato che stava già dando i primi segni di saturazione; la riduzione dei prezzi andò però a discapito della qualità e nei negozi iniziarono ad arrivare registratori a cassette pieni di lucine e dall'aspetto accattivante, ma con qualità costruttiva sempre più scadente. Anche i marchi più blasonati di un tempo, come Sony, Aiwa, Akai, Technics e Teac si ritrovarono a vendere apparecchi che nulla avevano a che vedere con la qualità del passato.
In breve tempo i deck a cassette destinati al grande pubblico diventarono delle vere e proprie porcherie, i pochi registratori di fascia alta ancora rimasti nei cataloghi furono acquistati solo dagli audiofili più esigenti e disposti a spendere cifre ancora importanti, e sparì completamente quella che un tempo era stata la "fascia media". La maggior parte degli impianti completi vennero corredati di "doppie piastre", spesso con autoreverse, utili per fare copie di nastri - magari per l'ascolto in macchina - ma di qualità infima e dalla vita molto breve a causa delle meccaniche interamente realizzate in plastica.
La registrazione delle immagini
La registrazione del segnale televisivo su nastro magnetico è molto più complessa di quella del segnale audio. Convenzionalmente si ritiene “ad alta fedeltà” un sistema in grado di riprodurre correttamente segnali con frequenza compresa tra 20 e 20.000Hz, gamma in cui ricade la sensibilità dell’udito umano. Un segnale video ha un contenuto in frequenza che inizia da valori bassissimi (teoricamente da 0Hz) fino ad un limite superiore direttamente proporzionale alla definizione delle immagini.
L’idea di registrare un segnale video su nastro nacque sostanzialmente con la nascita della televisione elettronica, già da prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, ma i primi tentativi di memorizzare delle immagini su un supporto destinato ai segnali audio risalgono addirittura agli esperimenti di televisione a scansione meccanica, dove la banda passante necessaria alla riproduzione del segnale video era approssimativamente uguale a quella del segnale audio (infatti le prime trasmissioni televisive meccaniche venivano fatte sulla banda radiofonica AM) che poteva essere contenuta in un disco fonografico.
La maggiore difficoltà insita nella registrazione di un segnale video era l'ampiezza di banda del segnale televisivo analogico che si estende fino a circa 5MHz; per avere una visione qualitativamente accettabile occorre che il registratore sia in grado di trattare segnali di frequenza superiore ai 2 – 2.5 MHz.
La necessità di registrare segnali a frequenza così elevata fu fin da subito l’ostacolo fondamentale allo sviluppo di un sistema di videoregistrazione efficiente: per raggiungere tali prestazioni sarebbe stato necessario far scorrere il nastro a velocità elevatissime, dell’ordine di alcuni metri al secondo, e ciò avrebbe comportato una durata ridottissima delle bobine di nastro oltre che una serie di problemi meccanici insormontabili.
Suddivisione dello spettro di frequenze di un segnale video standard CCIR
La videoregistrazione rimase così solo un’idea nei centri di ricerca, che riuscirono a realizzare nella prima metà degli anni 50 solo delle macchine dimostrative senza nessuna applicazione pratica. L'unico sistema di registrazione video longitudinale messo in servizio fu il V.E.R.A. (Vision Electronic Recording Apparatus) della BBC. La macchina VERA montava bobine da 20 pollici, il nastro scorreva alla velocità di circa 5 metri al secondo e offriva una risoluzione video di 400 linee per 15 minuti di registrazione monocromatica.
Un videoregistratore VERA della BBC
Nel 1954 la AMPEX dette inizio al progetto di sviluppo di un sistema di videoregistrazione professionale di alta qualità, destinato alle stazioni televisive americane che sentivano pesantemente l’esigenza di poter fare trasmissioni anche non in diretta. Il team di sviluppo Ampex era costituito dai più valenti tecnici e ingegneri nel settore della registrazione magnetica, tra questi possiamo citare Ray Dolby inventore dell’omonimo sistema di riduzione del rumore per i registratori audio.
La soluzione trovata per registrare un segnale con banda passante di 5MHz senza far correre il nastro alla velocità calcolata di circa 7 metri al secondo fu semplice e geniale: bastava (si fa per dire…) far muovere alla giusta velocità la testina rispetto al nastro, che avrebbe invece marciato ad una velocità molto più bassa e compatibile con le meccaniche già esistenti. Le testine video vennero montate su un tamburo rotante sul quale era avvolto il nastro secondo lo schema della figura seguente:
Struttura della registrazione video con il sistema quadruplex
La rotazione del tamburo portava le testine a registrare una serie di tracce verticali affiancate, ognuna delle quali conteneva solo alcune righe dell’immagine. Si trattava quindi di una registrazione di tipo segmentato e in direzione trasversale allo scorrimento del nastro, che richiedeva in fase di riproduzione un preciso sistema di controllo dei motori in modo che le testine si trovassero sempre sopra la parte del nastro da leggere. Il sistema venne denominato QUADRUPLEX.
Gruppo testine video di un registratore quadruplex
Nel 1956 il lavoro fu terminato, e venne presentato ufficialmente al pubblico il MARK 4, primo registratore video per uso broadcast al mondo. Il successo fu immediato, e le principali emittenti televisive americane acquistarono le macchine fin dai prototipi.
Il team di sviluppo Ampex con il primo videoregistratore Mark 4.
Da sinistra: Fred Pfostf, Shelby Henderson, Ray Dolby, Alex Maxsey, Charles Ginsburg, Charley Anderson
I primi esemplari prodotti erano abbastanza complicati da usare e non permettevano l'interscambio dei nastri, quindi il team di sviluppo Ampex riprese subito il lavoro per risolvere i problemi dei prototipi. Nacquero così in breve tempo il VR1000, esteticamente molto simile al Mark 4, e il VR2000 nel 1964. Dimensioni, peso e consumo dei primi VTR quadruplex ne rendevano impossibile l'uso al di fuori degli studi televisivi; questa limitazione venne superata quando cominciarono ad essere disponibili i primi transistor con prestazioni adeguate all'impiego nel settore video e di potenza, e nel 1967 arrivò il primo videoregistratore portatile quadruplex: il VR3000.
Ampex VR2000 (1964) Ampex VR3000 portatile (1967)
Il sistema quadruplex era sicuramente adeguato per il settore professionale e broadcast, data la sua elevata qualità di registrazione, ma i costi elevati e le dimensioni delle macchine (un VR2000 pronto all'uso pesava quasi una tonnellata e consumava svariati KWh di energia elettrica) ne rendevano impossibile la diffusione in grandi numeri. Per poter entrare nel mercato domestico e amatoriale occorreva un apparecchio più semplice, economico e utilizzabile in unione al comune televisore di casa. Così fin dai primi anni 60 iniziò lo studio di un nuovo sistema di registrazione video, in cui la testina rotante disegnava delle tracce oblique abbastanza lunghe da contenere un intero quadro video su un nastro di dimensioni ridotte (1/2 pollice di altezza contro i 2 pollici del quadruplex) che scorreva a velocità sufficientemente bassa da consentire autonomie di svariate decine di minuti su una sola bobina.
Registrazione video a scansione elicoidale
Dalla fine degli anni 60 in poi, iniziarono ad essere disponibili i primi videoregistratori per uso domestico, dapprima pesanti e ingombranti, poi sempre più maneggevoli fino ad arrivare alle dimensioni di un normale registratore audio e addirittura ad apparati portatili alimentati da una batteria interna e dotati di telecamera; i modelli più avanzati riprendevano immagini a colori e potevano mettersi in diretta concorrenza con la pellicola cinematografica, che per quanto migliore in termini di qualità dell'immagine necessitava di tempi lunghi e laboratori attrezzati per lo sviluppo e una volta impressionata non poteva essere cancellata e riutilizzata per una nuova ripresa..
Panasonic NV3030 (1970 circa)
Fino a 45 minuti di registrazione su bobina da 18 cm
Philips LDL1000, risposta europea ai numerosi VTR giapponesi e americani
AKAI VT700, a prima vista simile a un normale registratore a bobine audio. Il primo in grado di contenere un intero film su un solo nastro, che aveva una durata di oltre 90 minuti.
AKAI VT110 portatile con la sua telecamera. Compatto e relativamente leggero, ebbe un notevole successo commerciale in tutto il mondo. Compatibile con il più grande VT700.
Sony VR3420, portatile su nastro da 1/2 pollice con autonomia di 20 minuti di video monocromatico.
Le sue buone prestazioni unite alla facile trasportabilità e robustezza lo resero un successo nel setttore semiprofessionale.
Era unito a una telecamera con mirino elettronico che permetteva di rivedere le registrazioni appena fatte.
Fino al 1970, un videoregistratore dal punto di vista dell'utilizzatore è sostanzialmente equivalente a un registratore audio: ha bisogno di una sorgente di segnale da registrare e di qualcuno che carichi il nastro, lo accenda insieme alla sorgente e prema i pulsanti di comando. Philips ebbe l'idea geniale: il videoregistratore doveva entrare nelle case per registrare un programma TV in assenza di chi voleva vederlo, oppure mentre il proprietario ne stava guardando un altro, e doveva farlo da solo senza richiedere la visione di quel programma sul televisore nè tanto meno la presenza di un operatore. Fu realizzato il sistema a cassette VCR (Video Color Recorder), primo in assoluto dotato di tuner con preselezione di ben sei canali e timer per la partenza automatica della registrazione a un orario prefissato. Era nato il videoregistratore così come lo consciamo oggi; l'idea venne subito recepita da tutti gli altri costruttori che iniziarono a progettare macchine più fruibili e soprattutto "autonome" nel funzionamento.
Philips N1500: il primo videoregistratore "domestico" della storia.
In quel periodo praticamente ogni costruttore aveva sviluppato un proprio sistema di registrazione video, talvolta persino più di uno, e questo impediva qualsiasi forma di scambio dei nastri. A metà degli anni 70 si formarono due gruppi di aziende giapponesi, uno con in testa Sony e l’altro JVC, che definirono due standard di registrazione video a colori su cassetta: VHS e Betamax. I due gruppi iniziarono a contendersi il mercato con numerose macchine per uso domestico e portatile, e per svariati anni ebbero entrambi un buon successo fino alla definitiva affermazione del VHS nel corso degli anni 80, più per ragioni commerciali dovute alla disponibilità di materiale preregistrato che per reali motivazioni tecniche. Altri sistemi di videoregistrazione come il Video2000 della europea Philips e altri ancora meno noti ebbero vita breve, solo il sistema Video8 (detto anche “8mm”) di Sony si guadagnò un notevole successo nel campo delle videocamere portatili.
Betamax:
I videoregistratori Betamax furono prodotti essenzialmente da Sony e da altri costruttori ai quali Sony concesse la licenza. Dai primi modelli da tavolo, grossi e pesanti, si passò presto ad apparecchi di dimensioni ridotte fino al modello portatile SL-F1, prodotto tecnologicamente avanzatissimo per l'epoca e particolarmente compatto e leggero. Collegato all'apposito tuner-alimentatore poteva essere utilizzato anche come videoregistratore da tavolo in casa. Nel 1980 fu presentata la prima telecamera con videoregistratore integrato, la Betamovie BMC-100. Il Betamax ebbe svariate evoluzioni nel corso del tempo, con l'aggiunta dell'audio hi-fi e la modifica in "superbeta", con una definizione molto maggiore rispetto al sistema originale. La produzione dei registratori Betamax cessò definitivamente nel 2002.
Sony SL-C7 betamax da tavolo Videocassetta Betamax
Betamax Sony SL-F1 portatile, tecnologicamente all'avanguardia Sony BMC100, la prima videocamera
integrata commercializzata al mon
ed estremamente compatto (1978)
VHS:
Il sistema VHS nasce dal gruppo JVC come concorrente del Betamax. Nonostante la cassetta sia di dimensioni maggiori e la qualità video leggermente inferiore, riuscìa conquistare il mercato grazie anche alla maggiore disponibilità di materiale preregistrato. Anche il VHS ha visto il passaggio da macchine ingombranti e costose a modelli sempre più piccoli, economici e sofisticati. L'apice è stato probabilmente raggiunto alla fine degli anni 80-inizio 90, quando i principali produttori realizzarono macchine sofisticate con elaborazione digitale e persino TBC incorporati per una maggiore qualità video. Le varianti principali sono il VHS-C, cassetta di piccole dimensioni per videocamere ma leggibile su un videoregistratore da tavolo tramite apposito adattatore, il VHS-hifi con audio stereo di qualità CD, e il S-VHS a definizione maggiorata (400 linee contro le 270 del sistema standard).
Videoregistratore da tavolo Panasonic NV-F70 (1988) Videocamera portatile VHS-C
Altri sistemi:
I due sistemi consumer più noti, dopo il VHS e il Betamax, sono il Video2000 inventato da Philips nel 1980 e il Video8 (detto anche "8 millimetri" come le vecchie cineprese) di Sony, specifico per videocamere portatili.
Il Video2000 era un sistema di videoregistrazione molto efficiente e di qualità elevata, superiore al VHS. Le testine montate su un supporto piezoelettrico permettevano un inseguimento della traccia molto preciso, con funzioni di moviola e avanzamento veloce prive dei disturbi tipici degli altri sistemi. Inoltre la registrazione utilizzava solo metà dell'altezza del nastro, e la cassetta poteva essere girata alla fine e utilizzata sull'altro lato, come le normali cassette audio. Si arrivava così a registrare 8 ore di video su una sola cassetta, poi portate a 16 ore con la funzione LP. Il Video2000 non riuscì a intaccare la posizione dominante del VHS sul mercato, e venne presto dismesso.
Il Video8 usa una cassetta di piccole dimensioni, poco più grande di quella audio, che può contenere fino a 90 minuti di video e audio ad alta fedeltà. Per quanto sia stato creato specificamente per le videocamere portatili, sono stati commercializzati anche videoregistratori da tavolo e anche qualche apparecchio professionale, soprattutto nel formato Hi8 a definizione aumentata.
Videocamera 8mm Sony Combo Video8: videoregistratore e monitor integrato
Videoregistratore da tavolo Video2000 Cassetta Video2000 da 8 ore
VHS e concorrenti non erano in grado di offrire una qualità video accettabile per l’uso broadcast e professionale, così parallelamente ai sistemi per il grande mercato vennero sviluppati anche altri standard di registrazione più adeguati.
Il primo sistema professionale - o quanto meno abbastanza vicino al professionale - fu il sistema U-matic su nastro da 3/4 di pollice e cassette della durata massima di 1 ora. La qualità, per quanto superiore al VHS, non era comunque eccelsa; tuttavia grazie anche alla disponibilità di sistemi portatili dal peso abbastanza contenuto l'U-matic ebbe un buon successo, soprattutto presso le TV private che non potevano permettersi di sostenere i costi dei sistemi superiori, ed è rimasto in uso fino agli anni 90 con svariati miglioramenti.
Sony VO-6800 portatile U-Matic
Successivo all'U-matic è il Betacam, con la sua variante Betacam SP. Registratori e videocamere Betacam SP usano una cassetta apparentemente identica alla vecchia Betamax, ma con nastro al metallo puro. Il nastro scorre a velocità molto elevata e le due componenti di luminanza e crominanza sono registrate su tracce video separate, in modo da migliorare sia il rapporto s/n che la banda passante complessiva. 4 tracce audio separate, due lineari e due FM. Il risultato finale è una definizione di 340 linee, adeguata per l'uso broadcast. Il Betacam SP è stato proabilmente lo standard professionale più diffuso, e talvolta viene utilizzato ancora oggi.
Una videocamera Betacam SP Sony composta da un corpo camera e da un videoregistratore separabile.
Dimensioni e peso notevoli (circa 12Kg), ma robustissima e adatta a un uso "sul campo".
La massima qualità venne raggiunta con il sistema "C" su nastro da 1 pollice, che permette di avere una definizione di 500 linee reali. Le dimensioni e il peso delle macchine non hanno reso possibile la realizzazione di camcorder integrati, e le macchine da 1 pollice sono rimaste confinate negli studi televisivi. Tuttavia Sony e Ampex hanno realizzato alcuni apparati portatili; quello tecnologicamente più avanzato è sicuramente l'Ampex VPR5 progettato in collaborazione con Nagra.
Sony BVH3100, sofisticato VTR da 1 pollice professionale Sony BVH500 portatile. Le bobine di nastro sono sovrapposte per risparmiare spazio.
NAGRA VPR5, una vera opera d'arte e tecnologia.
Come accaduto alla registrazione analogica audio, nel corso degli anni 90 iniziarono a prendere sempre più spazio i sistemi digitali, inizialmente su nastro magnetico e poi su supporti di tipo diverso, come i DVD registrabili e gli hard disk. Negli ultimi anni il progressivo abbassamento dei costi delle memorie di massa a stato solido ha eliminato definitivamente il nastro magnetico sia nel settore professionale che in quello domestico, causando la rapida scomparsa dal mercato del relativo hardware.