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Il 1969 fu un anno molto travagliato nella storia dei Rolling Stones. A partire dagli eventi storici di quel periodo, che cambiarono il modo stesso di intendere la musica nonché gli ideali di un’intera generazione: guerre, violenze e morte divennero questioni all’ordine del giorno, mutando così la visione del mondo figlia dei libertini anni Sessanta che le persone a quel tempo portavano con loro. Sensazioni tutt’altro che positive, emozioni deviate da uno stato di tensione dilagante che portarono gli Stones alla creazione di un album che già dal titolo faceva intendere molto. Quell’anno un’immane tragedia colpì direttamente i membri del gruppo. Nel mese di giugno, infatti, il chitarrista Brian Jones si allontanò dalla band per un insieme di motivi che includevano tanto certe divergenze musicali e di pensiero quanto problemi legali che gli impedivano di seguire il resto del gruppo nel tour americano ed al suo posto subentrò Mick Taylor. Ma appena un mese dopo Jones venne trovato morto per affogamento nella piscina di casa sua e il fatto contribuì ad appesantire un’atmosfera già di per sé non certo solare. La pubblicazione di Let It Bleed avvenne il 5 dicembre 1969 nel Regno Unito, per mano dell’etichetta Decca Records, mentre qualche giorno prima, il 29 novembre, negli Stati Uniti, sotto etichetta London Records. Il successo fu incredibile e praticamente immediato: primo posto nelle classifiche inglesi e terzo in quelle americane, merito di canzoni che anche a distanza di anni verranno ricordate come alcune tra le migliori dell’intera carriera degli Stones. Curiosa è la storia che si cela dietro l’artwork di copertina. Come viene spiegato nel libro di Bill Wyman, Rolling with the Stones, inizialmente il disco avrebbe dovuto intitolarsi Automatic Changer ed era stata creata una cover ispirata a questo titolo che aveva come fine quello di mostrare in copertina l’immagine appositamente scelta (il vinile di Let It Bleed suonato da un fonografo e sovrastato da alcuni particolari oggetti) e sul retro la stessa raffigurazione ma in una condizione totalmente degenerata rispetto alla sua versione originaria.
L’apertura del disco spetta alla canzone più celebre: Gimme Shelter. Il brano è conosciuto anche per la partecipazione tutt’altro che secondaria della soprano Merry Clayton, la quale duetta in maniera magistrale con un ispirato Mick Jagger. Il tocco leggiadro di Keith Richards e un’apoteosi sonora via via sempre più intensa coronano il tutto. Il seguente Love in Vain è un brano originale solo per metà, in quanto originariamente composto dal leggendario musicista blues Robert Johnson, ma qui rinnovato dall’aggiunta di qualche accordo e da un diverso arrangiamento. La versione degli Stones, per quanto apprezzabile, non resta certo impressa al pari di altre hit, ma suggella l’amore incondizionato del gruppo verso certe sonorità country/blues che della musica rock sono le fondamenta. Country Honk, che altro non è se non la versione country del singolo Honky Tonk Women pubblicato solo qualche mese prima dell’uscita del disco, prosegue sullo stesso filone della precedente traccia e ci porta spassionatamente a Live with Me, pezzo rock guidato da un basso corposo e dalle due chitarre di Richards e Taylor, nonché dal fondamentale apporto del sax di Bobby Keys. Il piano diventa protagonista nelle atmosfere fortemente country di Let It Bleed, con una sezione ritmica che tende magistralmente le fila del pezzo al servizio della voce di Jagger. Le tematiche forti del brano non gli permisero di divenire un singolo, ma resta il fatto che rientri appieno tra gli episodi migliori dell’intero album. Una forte impronta blues emerge nella bellissima Midnight Rambler, tematicamente ispirata alla figura dello “strangolatore di Boston”; la canzone si regge principalmente su chitarra e voce, ma è ottimamente sorretta dalle percussioni (suonate da Brian Jones) ed è di quelle su cui la band punterà molto dal vivo. A caratterizzare You Got the Silver, tranquilla e gradevole ballad, è invece la presenza di Keith Richards dietro al microfono (prima volta nella storia del gruppo britannico), il quale ci mette in mostra le sue buone doti canore. Uno degli episodi più interessanti del disco è rappresentato da Monkey Man, canzone dal ritmo frizzante che vede l’apporto di svariati strumentisti e fa sprigionare l’animo più selvaggio del leader Mick Jagger. La lunga traccia conclusiva You Can’t Always Get What You Want è atipica per le sue atmosfere tanto differenti dal sound tipico degli Stones. Il coro e le percussioni rendono il brano una vera e propria opera rock, rendendo così onore ad un disco eterogeneo nella sua pura essenza rock, nella sua radicata anima blues e nei suoi visionari intenti sperimentali dagli ampi confini.
Venuto alla luce in un periodo storico travagliato, Let It Bleed ci mostra i Rolling Stones nel pieno della loro forma, autori di quelli che furono gli album migliori della loro intera carriera. Nonostante tutti i problemi e le situazioni sfavorevoli, la band inglese fece vedere al mondo intero di cosa era capace e potè osservare tutti dall’alto in basso. La grandiosa decade degli anni Settanta era alle porte e quella precedente si concludeva nonostante tutto nel migliore dei modi e il tour americano che seguì all’album fu un successo strepitoso. 

 

Tracce
 

1-Gimme Shelter 
2-Love In Vain 
3-Country Honk 
4-Live With Me 
5-Let It Bleed 
6-Midnight Rambler 
7-You Got The Silver 
8-Monkey Man 
9-You Can’t Always Get What You Want 

Classic Rock

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