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Nati a San Francisco nel 1967 durante l’imponente rivoluzione pacifica denominata ‘Summer of Love’, i Blue Cheer hanno coniato un frastuono infernale in seguito meglio conosciuto come heavy metal. Originariamente concepiti con una formazione a cinque elementi, la cui denominazione deriva da una pregiata varietà di LSD, questi autentici pionieri del suono trovano una relativa stabilità come trio, capitanati dal bassista e cantante Dickie Peterson, affiancato per l’occasione dal chitarrista Leigh Stephens e dal tremendo picchiatore Paul Whaley. I tre protagonisti stringono un sodalizio commerciale con Allen ‘Gut’ Turk, con un passato nei temibili Hells Angels, al quale spetta il delicato compito di curare gli affari del gruppo. Rinchiuso negli Amigo Studios, ubicati a nord di Hollywood, in California, il trio delle meraviglie incide sei episodi destinati a cambiare le sorti della musica pesante. “Vincebus Eruptum” viene pubblicato il 16 gennaio 1968 e il suo contenuto annienta impietosamente in poco più di trenta minuti un’intera generazione di hippie cresciuta a pane, Jefferson Airplane e Love. Dallo scrigno di Pandora è fuoriuscita una nuova generazione di innovatori del suono che, nel corso della storia recente, hanno contribuito a rendere popolare una corrente artistica al tempo totalmente anticonformista. Led Zeppelin, Grand Funk Railroad, MC5, Black Sabbath, The Stooges, Deep Purple, Mudhoney, Kyuss e mille altri hanno seguito, più o meno consapevolmente, l’esempio tracciato da questi tre scapestrati. La produzione rudimentale viene affidata al Disc Jockey Abe ‘Voco’ Kesh, il quale scolpisce come un fabbro un suono pesante, violento ma mai caotico, catturando l’essenza della strabordante energia profusa da un loro concerto. Il primordiale blues rock, già splendidamente modernizzato dai Cream e dalla The Jimi Hendrix Experience, viene amplificato a dismisura con efferati feedback chitarristici, che si intrecciano con un quantitativo industriale di nervosi ‘fill’ di basso, coadiuvati da un mastodontico apparato percussivo. Nel lavoro sono presenti ben tre cover rilette sotto l’ottica deviata del collettivo californiano. La celebre “Summertime Blues”, scritta da Eddie Cochran e Jerry Capehart, raggiunge un sorprendente piazzamento alla quattordicesima posizione nella classifica Billboard Hot 100, trainando così il full-length alla numero undici. Il bluesman B.B. King viene tributato con una pachidermica rilettura della sua “Rock Me Baby”, sulla quale svetta la feroce interpretazione canora del carismatico Peterson. La squisita eleganza jazz di “Parchment Farm”, vergata alla fine degli anni Cinquanta dall’eclettico pianista Mose Allison, viene stuprata di ogni sua grazia per far posto ad un feroce assalto sonico, elevato al cubo da un bombardamento percussivo nella fase centrale del brano. L’ombra del chimico Augustus Owsley Stanley III si staglia beffarda alle spalle dei tre episodi rimanenti firmati esclusivamente dallo scatenato frontman. La struttura complessa ed arzigogolata di “Doctor Please” e la singhiozzante sincope di “Out of Focus” appaiono come pericolose armi contundenti, fortemente influenzate da cospicue dosi di acido lisergico. La discesa negli abissi viene orchestrata da “Second Time Around”, epilogo mozzafiato nel quale fa capolino un brutale assolo di batteria che collassa in un’orgiastica ed asfissiante collisione strumentale. La morte del ‘sogno hippy’ viene curiosamente predetta proprio da una band di San Francisco, con circa due anni di anticipo sulle tragiche vicende accadute all’Altamont Free Concert. Il punto di non ritorno.

 

Tracce

 

1. Summertime Blues
2. Rock Me Baby
3. Doctor Please
4. Out Of Focus
5. Parchment Farm
6. Second Time Around

Classic Rock

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