Con l'uscita di Noel Redding e Mitch Mitchell, Hendrix e Cox iniziano quindi a jammare con il batterista Buddy Miles che proveniva da un background R&B e soul e aveva militato anche nei gloriosi Electric Flag. Il batterista aveva già suonato in diverse jam con Hendrix e suonato su Electric Ladyland nei brani Rainy Day, Dream Away/Still Raining, Still Dreaming.
L’arrivo di Billy Cox (Basso) e Buddy Miles (Batteria) modificò in parte la traiettoria di Hendrix spingendolo verso direzioni nuove, che culminano nell’introduzione di forti contaminazioni funk e soul, tanto nella musica quanto nelle tematiche affrontate nei testi. Inoltre, l’approccio fortemente legato alle jam divenne parte integrante del processo compositivo, seguendo un metodo sperimentato in precedenza nella versione in studio di Voodoo Chile contenuta in Electric Ladyland. In effetti, lo stile di Cox, molto più sobrio e al contempo carico di groove di quello tenuto da Redding offriva una solida base all’improvvisazione di Hendrix e a questo si univa lo stile di Miles, sicuramente non proprio pulitissimo nell’esecuzione, ma anche lui dotato di una grande solidità e di un approccio più votato al ritmo e all’improvvisazione. Il batterista sin da subito affiancò Hendrix alla voce, cantando anche come prima voce i propri brani e creando così un ulteriore elemento di novità e contrasto, oltre che una nuova fonte di improvvisazione, anche vocale, alla musica. Il gruppo realizzò quattro show dal 31 dicembre al 2 gennaio al Fillmore East di New York e tutti furono registrati per la realizzazione del disco, sostanzialmente proponendo delle lunghe marce musicali scandite dai nuovi brani come dalle canzoni provenienti dal repertorio della Experience. Le canzoni che finiranno sul disco saranno poi selezionate dallo stesso Hendrix e dal produttore Eddie Kramer solo in seguito, nel consueto duro lavoro di post produzione.
Il cambio di stile è già evidente sin dalla prima traccia Who Knows, che presenta un riff portante di chiara matrice funk, sul quale si inseriscono le voci di Hendrix e Miles, il quale funge da controcanto, improvvisando il più delle volte le parole oppure offrendo una lunga sezione praticamente in scat, per poi lasciare spazio alle lunghe sezioni soliste di un Hendrix straripante. La canzone segna un netto passo avanti dello stile del chitarrista e dell’esasperato uso dello wha wha. Il brano che forse costituisce però la chiave di volta dell’intero disco è indubbiamente il successivo Machine Gun, vero e proprio capolavoro espressivo del chitarrismo di Hendrix e credibile inno antimilitarista che univa la contestazione studentesca alla protesta contro la guerra in Vietnam. Qui Hendrix stabilisce un nuovo standard della propria sensibilità musicale, dopo la famosissima riproposizione dell’inno americano di Woodstock, giocando con gli effetti al fine di ottenere un suono crepuscolare e terribile, pieno di feedback, scandito dalle rullate di Miles e che usando al massimo tutto quello che la chitarra può offrirgli, evoca credibilmente un campo di battaglia dilaniato dai proiettili, dalle sirene antiaeree e dal fumo delle esplosioni. Un contrasto nettissimo rispetto all’opener, decisamente più spensierata e contagiosa, che costituisce senza dubbio uno dei brani di maggior valore dell’intera carriera di Hendrix e di tutta la musica di protesta. Il secondo lato del vinile presenta quattro brani leggermente più brevi ed anche leggermente meno legati all’improvvisazione, rispetto agli oltre nove minuti di Who Knows e agli oltre dodici di Machine Gun. La traccia che inaugura il Lato B del vinile è Changes (conosciuta anche come Them Changes), una delle composizioni di Miles e costituisce a tutti gli effetti il suo “momento” nello spettacolo, con un ritmica tipicamente funk, sorretta da un ottimo riff e una linea melodica soul piacevolissima, che esalta il pubblico presente e nel finale offre anche uno spettacolare botta e risposta vocale con Hendrix, il quale accetta per una volta un ruolo secondario e di accompagnamento, anche se sancito dai consueti e strepitosi assoli. Power to Love è invece una solidissima canzone del “nuovo” Hendrix, in bilico tra hard blues e funk ed è assieme alla successiva quella in cui si avverte maggiormente un arrangiamento rifinito, con un classico botta e risposta tra strofa e ritmica di chitarra guidata da un insinuante riff e da un refrain inconfondibilmente soul che conferma peraltro le potenzialità del confronto vocale tra il chitarrista e Buddy Miles e anche l’ottimo groove impostato da Cox. Si tratta indubbiamente di una delle tracce più complete del disco e anche una di quelle in cui il chitarrista recupera maggior controllo nell’evoluzione del brano, che alla fine risulta forse meno esplosivo dei precedenti, ma anche sicuramente più maturo nella sua dimensione di canzone. Discorso similare si può fare anche per la successiva Message to Love, che ascoltata oggi sembra un brano dei Living Colour, a testimonianza dell’indubbia influenza esercitata su tutti i musicisti rock che ambiscono a flirtare col funk da questo album. Anche in questo caso, la forza del brano è tutto nel riff portante, nell’ottimo lavoro di Cox, nei fiammeggianti soli e nel riuscito contrappunto vocale di Cox e Miles. Chiude We Gotta Live Together, nuova composizione di Buddy Miles che si incentra ancora maggiormente sulla parte vocale, per quanto la chitarra inevitabilmente cerchi di balenare ovunque e si conceda infine l’ultimo grandioso assolo della rassegna, ancora una volta glorificato dallo wha wha.
Quando il disco uscì nel marzo del 1970, il gruppo già non esisteva più. I rapporti tra il chitarrista e il batterista non erano idilliaci nonostante il rispetto e l’amicizia tra i due e certo non aiutò il fatto che il manager di Hendrix non sopportasse il modo di suonare e la “eccessiva” esuberanza di Miles il quale tentava palesemente di trarre la massima esposizione per se stesso da questa collaborazione. Band of Gypsys fu un disco che divise, anche se la sua pubblicazione fece conoscere ad Hendrix il suo più grande successo commerciale dopo Are You Experienced?. La critica lo ritenne e lo ritiene tuttora il disco meno riuscito ed importante tra quelli pubblicati in vita dal chitarrista, tanto a causa della qualità della registrazione, quanto proprio a causa della performance della sezione ritmica, fin troppo lineare e non esente da evidenti limiti esecutivi. Eppure, al di là del valore assoluto di un brano come Machine Gun, immediatamente riconosciuto da tutti, non si può negare che col tempo questo disco abbia segnato una fondamentale influenza per lo sviluppo del funk e per le sue contaminazioni col rock, confermate dal fatto che molti musicisti lo citano ancora come una delle loro primarie fonti di ispirazione. Tra i tanti che ritengono l’esperimento della Band of Gypsys straordinario, troviamo un certo Miles Davis, notorio estimatore di Hendrix, che proprio nella libertà che il chitarrista trovò grazie alla relativa semplicità dell’approccio ritmico di Cox e Miles, individua la splendida crescita e maturazione tecnica ed espressiva del fraseggio del chitarrista, addirittura paragonato a quello di John Coltrane. E’ indubbio, al di là dei giusti entusiasmi, che poco più di due mesi non siano stati un tempo sufficiente per portare a maturazione tutti i brani, nonostante l’impegno del trio, come testimoniato ad esempio dai finali quasi sempre improvvisati o da cambi dettati evidentemente dall’umore di Hendrix più che da scelte condivise e provate. La selezione effettuata in post produzione dei brani da inserire nel disco fu piuttosto lunga ed elaborata, anche se l’album uscì praticamente dopo appena tre mesi dalla registrazione dei concerti, tanto che ad esempio un brano come We Gotta Live Together fu inserito solo all’ultimo secondo al posto di altri scelti in precedenza.
Come in tutti gli album “sperimentali” e di transizione, quello che alla fine conta è il punto di vista che si vuole utilizzare. Con Band of Gypsys Hendrix riuscì a togliersi di dosso molte pressioni e al tempo stesso trovò il modo di continuare a sperimentare ciò che lo interessava maggiormente, aprendo nuove vie alla propria musica e alla propria espressività strumentale. Probabilmente è giusto accettare il verdetto che si tratti del disco meno riuscito tra quelli pubblicati in vita dal chitarrista, ma questo si deve unicamente all’immensità degli album precedenti e non alle sue carenze. Hendrix è qui al suo massimo splendore esecutivo e già questo rende Band of Gypsys una delle pagine più belle in assoluto di quegli anni. Difficile parlando del chitarrista di Seattle andare al di sotto della categoria del capolavoro e sebbene sia giusto sottolineare i limiti del disco, al tempo stesso non si può negare che anch’esso abbia aperto nuove vie a chi ha seguito e che il valore di molti dei brani qua contenuti va semplicemente oltre le categorie di ottimo o grandioso. Questa è Storia della musica. Il resto, lo decida il gusto individuale.
Formazione
Jimi Hendrix - chitarra, voce
Buddy Miles - batteria, voce
Billy Cox - basso, voce
Tracce
1. Who Knows
2. Machine Gun
3. Changes
4. Power To Love
5. Message To Love
6. We Gotta Live Together
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